Album of the week: Malcom Middleton "Into the Woods" (Chemikal Underground, 2005)
Quando vidi Malcolm Middleton dal vivo per l’ultima volta era il 29 gennaio 2004. Accidenti, sono quasi due anni e nel frattempo ne sono passati di concerti visti e dischi ascoltati, ma quella timida esibizione di Malcolm con la chitarra acustica tutta incerottata (quella che usa nei divertissment finali in coppia con Aidan negli Arab Strap) ad aprire per i Mogwai, non la dimentico così facilmente.
Devo ammettere, ero un po’ deluso. Perché dopo aver battezzato quello degli Arab Strap, pochi mesi prima, concerto più intenso del 2003, mi aspettavo qualcosa di altrettanto sensazionale.
E invece Malcolm apparve e scomparve quasi nel completo anonimato, poco assecondato da un pubblico rumoroso, che impazientemente attendeva i Mogwai seduto ai tavolini o al bancone del bar, e che quindi mal si sposava con un’esibizione così intima.
Lo stesso Malcolm sembrava essere poco entusiasta di starsene lì sul palco a presentare il suo “5:14 Fluoxytine Seagull Alcohol John Nicotine” e ad anticipare alcune canzoni confluite poi in “Into the Woods” (l’unica di cui sono certo è “Monday Night Nothing”, perché soltanto i giorni della settimana trapelavano dall’oscuro accento scozzese del cantautore).
E io lo immagino quella sera Malcolm. Dietro le quinte del Rainbow, dopo il suo set, mentre Stuart Braithwaite ordinava esplosioni di chitarre ai suoi compagni, intento a scrivere Bear With Me (“And I’m sorry about my face / I wish that I could smile more / When you’re laughing on the telephone / It carries me all those miles back home… / … It’s only 6 weeks left / Then I’m coming back home).
Lo immagino percorrere via Forze Armate, lasciando Milano sul tourbus “festante” dei Mogwai. Una crocetta sul calendario in più, una brutta città in meno.
Mi dispiaceva anche un po’ in fin dei conti che tutto finisse così, senza prove d’appello. Così, quando quest’anno è apparso sugli scaffali “Into the Woods”, l’ho comprato subito e non ci ha messo molto a conquistarmi. Si, mi ha conquistato ed è riuscito persino ad entrare nella LISTA dei 24 (tanti ne tiene il mio case) per il viaggio in Messico. Vi assicuro che la concorrenza era a dir poco spietata.
Per i più attenti e appassionati al fitto sottobosco di Glasgow, è evidente la distanza che Malcolm prende dagli Arab Strap. Basta infilare il disco nel lettore, premere play e avrete una perfetta pop song orecchiabile che risponde al nome di “Break My Heart”, uno degli episodi più fortunati di un disco compatto, ma non monocorde.
A tratti Malcolm mi ricorda spaventosamente i New Year, che detto dal sottoscritto suona come un grosso complimento. Ascoltate “Devastation” e “Monday Night Nothing” e ne avrete subito una dimostrazione. Frequenti sono poi le incursioni di elettronica, dalla giocosa melodia di “No Modest Bear” alle drum machine piazzate qua e la in scaletta. Non mancano nostalgiche strumentazioni della tradizione scozzese e pregevoli risultano le collaborazioni, tra cui spicca quella dell’altra metà degli Arab Strap Aidan Moffat. Ma a rendere omaggio a Middleton sono anche componenti di Mogwai, Reindeer Section e Delgados, quasi ci fosse bisogno di confermare l’esistenza di una scena musicale “glaswegiana”, che ruota attorno alla Chemikal Underground.
In definitiva un album più immediato di tutte le uscite con gli Arab Strap, ma che dopo ripetuti ascolti scava inevitabilmente meno a fondo, complici anche i testi che, seppur per niente scontati, raramente toccano i livelli della geniale penna di Aidan ( “It was the biggest cock you'd ever seen, but you've no idea where that cock has been. You said you were careful - you never were with me. I heard you did it four times but johnnies come in packs of three.”).
E quindi? Mmh.. un bel 7/10 non glielo toglie nessuno.
Ascolta da "Into the Woods"...
"Break my Heart"
"Loneliness Shines"
... e da "5:14 Fluoxytine Seagull Alcohol John Nicotine"
"Beast in Me"
"Part Eyes" (disponibile solo nella versione per gli USA)
Devo ammettere, ero un po’ deluso. Perché dopo aver battezzato quello degli Arab Strap, pochi mesi prima, concerto più intenso del 2003, mi aspettavo qualcosa di altrettanto sensazionale.
E invece Malcolm apparve e scomparve quasi nel completo anonimato, poco assecondato da un pubblico rumoroso, che impazientemente attendeva i Mogwai seduto ai tavolini o al bancone del bar, e che quindi mal si sposava con un’esibizione così intima.
Lo stesso Malcolm sembrava essere poco entusiasta di starsene lì sul palco a presentare il suo “5:14 Fluoxytine Seagull Alcohol John Nicotine” e ad anticipare alcune canzoni confluite poi in “Into the Woods” (l’unica di cui sono certo è “Monday Night Nothing”, perché soltanto i giorni della settimana trapelavano dall’oscuro accento scozzese del cantautore).
E io lo immagino quella sera Malcolm. Dietro le quinte del Rainbow, dopo il suo set, mentre Stuart Braithwaite ordinava esplosioni di chitarre ai suoi compagni, intento a scrivere Bear With Me (“And I’m sorry about my face / I wish that I could smile more / When you’re laughing on the telephone / It carries me all those miles back home… / … It’s only 6 weeks left / Then I’m coming back home).
Lo immagino percorrere via Forze Armate, lasciando Milano sul tourbus “festante” dei Mogwai. Una crocetta sul calendario in più, una brutta città in meno.
Mi dispiaceva anche un po’ in fin dei conti che tutto finisse così, senza prove d’appello. Così, quando quest’anno è apparso sugli scaffali “Into the Woods”, l’ho comprato subito e non ci ha messo molto a conquistarmi. Si, mi ha conquistato ed è riuscito persino ad entrare nella LISTA dei 24 (tanti ne tiene il mio case) per il viaggio in Messico. Vi assicuro che la concorrenza era a dir poco spietata.
Per i più attenti e appassionati al fitto sottobosco di Glasgow, è evidente la distanza che Malcolm prende dagli Arab Strap. Basta infilare il disco nel lettore, premere play e avrete una perfetta pop song orecchiabile che risponde al nome di “Break My Heart”, uno degli episodi più fortunati di un disco compatto, ma non monocorde.
A tratti Malcolm mi ricorda spaventosamente i New Year, che detto dal sottoscritto suona come un grosso complimento. Ascoltate “Devastation” e “Monday Night Nothing” e ne avrete subito una dimostrazione. Frequenti sono poi le incursioni di elettronica, dalla giocosa melodia di “No Modest Bear” alle drum machine piazzate qua e la in scaletta. Non mancano nostalgiche strumentazioni della tradizione scozzese e pregevoli risultano le collaborazioni, tra cui spicca quella dell’altra metà degli Arab Strap Aidan Moffat. Ma a rendere omaggio a Middleton sono anche componenti di Mogwai, Reindeer Section e Delgados, quasi ci fosse bisogno di confermare l’esistenza di una scena musicale “glaswegiana”, che ruota attorno alla Chemikal Underground.
In definitiva un album più immediato di tutte le uscite con gli Arab Strap, ma che dopo ripetuti ascolti scava inevitabilmente meno a fondo, complici anche i testi che, seppur per niente scontati, raramente toccano i livelli della geniale penna di Aidan ( “It was the biggest cock you'd ever seen, but you've no idea where that cock has been. You said you were careful - you never were with me. I heard you did it four times but johnnies come in packs of three.”).
E quindi? Mmh.. un bel 7/10 non glielo toglie nessuno.
Ascolta da "Into the Woods"...
"Break my Heart"
"Loneliness Shines"
... e da "5:14 Fluoxytine Seagull Alcohol John Nicotine"
"Beast in Me"
"Part Eyes" (disponibile solo nella versione per gli USA)
1 Comments:
arruolato!!!!
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